Accademia Zanclea inaugura la Teca Antologica: Commenda e sinossi della Lectio tenuta da G. Corallo- introduce Claudio Stazzone

Accademia Culturale Zanclea

onora le Intellettualità viventi della cultura accorpandone la enfatizzazione della Loro creatività alla propria Teca Antologica: custode dei valori intellettivi, identitari, assiologici e di aggregazione di squadra.

La Teca Antologica ha coerentemente mosso il suo primo passo attribuendo ad un intellettuale di spicco, che ci ha onorati in data 6 maggio 2018 di una Sua ‘lectio magistralis’ nella sede messinese del ‘Salone del palazzo comunale delle Bandiere’, il prof. Giombattista Corallo, la meritata commenda in forza ad Accademia Culturale Zanclea.

La commenda attribuita al prof. Corallo è la prima in ordine di attribuzione che Accademia concede, e segna la   iscrizione di esordio al novero delle Schede di enfatizzazione di cui la Teca farà tesoro da qui all’avvenire distinguendo per competenze e tematiche da onorare.

Questa Scheda viene archiviata a memoria nella specificità: critica, invenzione e scrittura d’arte.

Ecco il testo della Commenda:

 

“Intellettuale di sintesi della tradizione federiciana-dantesca, che con la Sua origine sicula e la Sua docenza toscana ha onorato del Suo contributo la critica artistica contemporanea ed ha promosso prestigiose mostre artistiche, formando col Suo insegnamento fini sensibilità umane e talenti di valore, per queste Sue benemerenze, attestate altresì da una produzione scrittoria feconda in tema di arte, si onora di insignirlo quale

Commendatore

in forza ad Accademia culturale Zanclea.”

 

Addì 06 maggio 2018, dal Salone comunale delle bandiere in Messina

 Segue la Sinossi della Lectio del Prof Corallo:

Come si legge un quadro

di Giombattista Corallo

 

“…nelle arti, nulla di ciò che è ben fatto lo è per caso,
e non conosco un’opera che sia riuscita
se non per la preveggenza e la scienza dell’artista.
Gli artisti usano dappertutto regole, linee, misure, numeri.”

                                                          Plutarco

La frase di Plutarco è emblematica: il giudizio su un’opera d’arte non può essere formulato soltanto per esaltare la fantasia e la creatività dell’artista ma la lettura deve essere impostata su presupposti scientifici che contengono indispensabili valori propri di ogni epoca storica che l’autore, naturalmente e involontariamente, riesce a captare e ad esprimere. Per seguire questo semplice concetto è importante analizzare ogni opera fissando una serie di percorsi di lettura che il fruitore può scegliere a seconda dell’esigenza. Ne stabiliamo, qui, alcuni.

Percorsi di lettura

   1. Iconografia
   2. Iconologia
   3. Storia del movimento artistico
    4. Analisi del particolare
    5. Analisi della struttura
    6. Spazio e tridimensionalità
    7. Aspetto psicologico-cognitivo

1.Percorso iconografico

Il termine “iconografia” deriva dal greco Eikonographia (Eikon = immagine e graphia = disegno o scrittura) e consiste nella descrizione, nella classificazione e nell’interpretazione dei temi figurati. È lo studio del soggetto che ripercorre la storia del tema e ne sottolinea l’evoluzione. Un aiuto importante in questa direzione può provenire anche dalla conoscenza dei generi artistici.
Per quanto riguarda il percorso iconografico prendiamo in considerazione il tema della Crocifissione, un soggetto religioso tra i più significativi della tradizione cristiana, tanto caro all’arte.

Come prima opera prendiamo ad esempio il rilievo ligneo della porta della Basilica di Santa Sabina a Roma, uno dei pannelli realizzati nel V° secolo e considerato il primo sul tema. La composizione presenta la figura di Cristo al centro, affiancato dai due “ladroni”, realizzati di dimensioni minori nel rispetto della gerarchia delle immagini che vede prevalere quella di Cristo. Non compare la croce ma si deduce dalla posizione, con le braccia distese in orizzontale, delle tre figure. Cristo è raffigurato in quella tipologia definita del Christus Triunphans (trionfatore sulla morte) utilizzata fino al secolo XIII.

Segue una serie di dipinti, con varie tecniche, tra le quali si ricordano quella di Santa Maria Antiqua, ad affresco, dell’VIII° secolo in cui si vede ancora il Christus Triunphans vestito di una lunga tunica priva di maniche (colobium), con altre figure ai piedi della croce tra le quali annotiamo la presenza di Longino che gli trafigge il costato con la lancia e Stephaton che gli bagna le labbra con la spugna infilzata all’estremità di una canna.

L’affresco di Giotto della Cappella Scrovegni di Padova passa all’altra tipologia del tema: il Christus Pathiens, Cristo sofferente sulla croce che reclina il capo sua sulla spalla destra. Ai piedi della croce vi sono molti personaggi tra i quali i soldati che si spartiscono la tunica di Cristo.

La Crocifissione di Antonello da Messina di Anversa (1475) in cui alla compostezza della figura di Cristo che accetta la tragedia di cui è vittima si contrappongono le figure di Disma (il buono) ma, soprattutto di Gesta (il cattivo) che si muove sulla croce, simboleggiata dall’albero, in un movimento scomposto e drammatico emergenti, entrambi e con la croce centrale, sullo sfondo dello stretto di Messina visto dal Camaro? Il senso del pathos viene poi portato alle estreme conseguenze nell’opera di Mathis Grünewald, il pittore tedesco che si esprime con un linguaggio espressionistico già dal XVI° secolo, in quest’opera conservata nel Museo di Basilea. Le membra contorte in una dinamicità spasmodica nella cui composizione i personaggi sono raffigurati negli abiti rinascimentali dell’epoca.

Paul Gauguin con il suo Cristo Giallo del 1889, conservato nella Galleria di Buffalo (New York), alla cromaticità tonale unisce la rappresentazione di tre figure di contadine della Provenza in sostituzione delle Tre Marie della tradizione iconografica, in una visione popolare per la caratteristica dei personaggi raffigurati.

Renato Guttuso, nella Crocifissione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (1942), ambienta la scena in un paesaggio siciliano in cui fanno la comparsa, nell’angolo superiore sinistro, le tipiche casette popolari a schiera. La composizione è affollata con le tre croci con i corpi dei tre crocifissi raffigurate con arditi scorci di moderna impostazione fotografica. Alcuni personaggi sono interpretati in maniera personale come la Maddalena sostituita da un semplice e plastico nudo di Donna, Longino a cavallo, Stephaton con la spugna infilzata nella canna, e la composizione di “natura morta”, sul tavolo in primo piano, che ricorda gli strumenti della Passione (Arma Christi).

Chiudo questo percorso con la sottolineatura della Croce lignea dipinta che veniva posta sull’iconostasi o appesa all’arco trionfale, nelle due tipologie, un soggetto che ebbe molta fortuna nella pittura dal XII al XIV secolo. Originata a Lucca, fu usata in molte regioni italiane, e ha nell’opera del Maestro Guglielmo del 1138, conservata a Sarzana, il prototipo del Christus Triumphas mentre, la Croce n. 20 di pittore anonimo del museo di San Matteo di Pisa (1230-1240), il primo esempio di Christus Pathiens.

2.Percorso iconologico: Allegorie e simboli

Iconologia deriva dal greco Eikon = immagine e logos = discorso.
Riguarda lo studio delle figure allegoriche e simboliche. Il significato di certi temi, infatti, può essere compreso appieno solo dopo aver decifrato allegorie e simboli presenti nell’opera, della quale si avrebbe, altrimenti, una “lettura” incompleta e approssimativa.

Il percorso inizia con il mosaico del “Buon pastore” del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna del V° secolo in cui compare, per la prima volta, la figura di Cristo che abbraccia la Croce; questa ha colore oro come la lunga tunica che indossa, simbolo di spiritualità. Le pecore raffigurate hanno il capo rivolto verso Cristo che ne accarezza una ma comprendendo, nel suo sguardo, tutte le altre. La costruzione delle forme è, in parte, ancora legata alla plasticità classica e manca la bizantina ieraticità che ne contraddistingue uno dei valori portanti della pittura di questo momento storico.

La Madonna col Bambino di Carlo Crivelli (New York, Metropolitan Museum, del1460-1465), presenta una serie di elementi simbolici che analizziamo.

Nell’angolo superiore sinistro, fra altri frutti, è dipinto un cetriolo. Frutto della pianta Cucumis sativus. È simbolo di resurrezione. Il suo significato deriva dall’episodio biblico in cui si racconta che il profeta Giona, dopo essere stato inghiottito dal mostro marino, fu vomitato dall’animale dopo tre giorni e si svegliò sotto una pianta di zucca. Siccome nel Rinascimento tra zucca e cetriolo, appartenenti alla stessa famiglia delle cucurbitacee, non si faceva differenza, venivano usati, entrambi, con lo stesso significato. I tre giorni in cui Giona rimase nella pancia del mostro sono paragonate al tempo che Gesù trascorse nell’aldilà prima di resuscitare. Nell’angolo opposto si nota una mela. Questa è il frutto del melo (Malus communis), di forma sferica con concavità ai due poli, di vario colore: dal giallo verdastro al rosso infuocato. Secondo la tradizione è il frutto del peccato offerto a Eva da Satana presentatosi a lei sotto forma di serpente; nel mondo antico è attributo di Venere e delle tre Grazie, sue ancelle. Nell’iconografia religiosa, la mela, se è retta da Gesù Bambino, è simbolo di redenzione. Gesù, in questo atteggiamento, si fa carico dei peccati del mondo per salvare l’umanità. Questo significato assume nella Madonna col Bambino di Giovanni Bellini della Pinacoteca Brera di Milano (1460-1464).

Ritornando all’opera del Crivelli, notiamo che Gesù Bambino tiene tra le mani un piccolo volatile: un cardellino. Il suo significato risale alla tradizione che narra che, durante la salita al Calvario, Gesù, che portava la croce ed aveva in testa la corona di spine, una di queste gli rimase conficcata nella fronte. Un uccellino, volando, gli si avvicinò per toglierla e rimase macchiato da una goccia di sangue di Cristo. Spesso, infatti, ha nel capo una macchia rossa. Simboleggia il bene in contrapposizione alla mosca (il male) che si trova raffigurata verso il limite sinistro della composizione con uno straordinario “trompe-l’oeil”. Anche il mantello della Vergine ornato da un motivo a “melagrana”, così come il cuscino e la spaccatura del piano della balaustra, simboleggia il dolore, la passione che anticipa la morte di Gesù sulla croce.

L’Annunciazione di Francesco del Cossa, XV° secolo, di Dresda, presenta tutti i caratteri di ricordo classico nell’architettura dipinta, e uno sguardo alla pittura toscana di Piero della Francesca soprattutto nella figura della Vergine, ma è un animaletto rappresentato in primissimo piano al limite inferiore del riquadro, che ci interessa particolarmente: si tratta di una chiocciola. L’uso della raffigurazione di questo piccolo animale è abbastanza frequente sia nei temi religiosi sia nel tema di Natura morta; in particolare compare nell’arte del Quattrocento con uno specifico significato. Nell’immagine di questo gasteropodo le spire del suo guscio alludono al movimento dell’anima che tende verso la redenzione. Può simboleggiare anche la fertilità, la fecondità e la rigenerazione per l’evoluzione della spirale vista in relazione al succedersi delle fasi lunari e, inoltre, per il movimento che l’animale compie per uscire dal proprio guscio, allude al parto e quindi alla nascita ma anche all’alba, l’inizio del nuovo giorno che viene fuori dall’oscurità della notte.

Un’altra opera sullo stesso tema, dipinta da Lorenzo Lotto nel 1527 e conservata nella Pinacoteca Comunale di Recanati, insieme ai personaggi principali della tradizione, La Vergine Maria e l’Arcangelo Gabriele, reca la rappresentazione di un gatto che fugge alla visione dell’arrivo dell’Angelo. Il Cristianesimo gli attribuisce il valore di simbolo negativo con il significato di pigrizia, oscurità e di animale molto vicino a Satana. La sua natura fu considerata demoniaca a partire dal Medioevo ma continuò ad essere giudicata tale anche in pieno Rinascimento.

In un’anta d’organo del Museo dell’opera del Duomo di Ferrara vi è raffigurato il tema dell’Annunciazione in cui si vede la figura di Maria (nell’altra anta è rappresentato l’Arcangelo come nella tradizione). Ma non è del tema che si vuole qui parlare quanto di un animale, un roditore, presente su una sbarra orizzontale dipinta nel registro superiore della composizione. È l’elemento per il quale ho avuto molte difficoltà a identificarne il nome e a giustificarne il motivo della sua presenza sopra il capo della Vergine. Mi dedicai, quindi, all’identificazione dell’animale arrivando a concludere che si trattava di una Donnola ma non trovando agganci utili a capire il motivo della raffigurazione di questo animaletto nell’opera, lasciai temporaneamente questo impegno e mi dedicai a scrivere altre voci  di un libro al quale lavoravo dal titolo “A proposito di arte, come riconoscere temi personaggi oggetti simboli”. Nello studio della Mitologia e, in particolare, di Ercole, ebbi, l’inaspettato aiuto da Ovidio che, nelle Metamorfosi descrive in maniera straordinariamente colorita, la nascita di questo personaggio. Si narra, infatti, che Galinthias (Galantide o Galanti), una fanciulla che assisteva Alcmèna, donna mortale, nei giorni precedenti il parto che avrebbe dato alla luce Ercole, concepito per un suo rapporto con Zeus, Era (Giunone), moglie gelosa di Zeus, aveva mandato Lucina per impedire, con sortilegi, la nascita del bambino. Questa si mise a sedere con le gambe accavallate e le mani intrecciate per impedire, con una sorta di magia, la nascita del piccolo. Galanti, mandata dalla partoriente, uscì dalla camera e annunciò il parto avvenuto ingannando così Lucina che, per rabbia, alzò le mani verso l’alto permettendo in quel momento ad Alcmèna di dare felicemente alla luce Ercole. Lucina era la Dea delle partorienti identificata anche con Era/Giunone o con Diana. Galinthias per vendetta fu tramutata da Era in donnola. Ed ecco l’origine della rappresentazione di questo animale nell’arte. Una vincita al lotto non mi avrebbe, sicuramente, fatto più felice.

L’opera Cristo in Pietà con i Dolenti di Lorenzo Monaco, 1402, Firenze, Galleria degli Uffizi, è caratterizzata dalla figura di Cristo al centro della composizione, alla sua destra la Madre e alla parte opposta Giovanni Evangelista. Sparsi nello sfondo e in primissimo piano, in basso, tutti gli strumenti della Passione: la croce, la lancia, il bacile di Pilato, la fiaccola che illuminava la strada durante l’arresto di Gesù, e numerosi altri ai quali si da il nome di “Arma Christi”. Ma è sul grande volatile con i suoi piccoli raffigurato in alto all’interno e alla sommità dell’arco ogivale che vogliamo porre la nostra attenzione. Si tratta di un pellicano appartenente al Genere di Uccelli Pellicanidi (Pelecanus) che frequenta sia le rive del mare sia le zone palustri d’acqua dolce, nei climi tropicali e temperati, dove nidifica sugli alberi o a terra. Ha collo lungo, zampe corte e becco lunghissimo e largo. Misura oltre un metro e ha un’apertura alare di circa tre metri. La sua presenza nelle composizioni esprime alcuni significati principali tra i quali la Carità una delle tre Virtù Teologali insieme alla Fede e alla Speranza. Si è creduto che il pellicano, maschio o femmina, si strappasse, col becco, la carne ferendosi, per dare da mangiare ai piccoli quale esempio di abnegazione e amore, ma si precisa che, quando il pellicano trova il cibo, lo conserva dentro una sacca all’interno della bocca sotto la lingua e, per tirarlo fuori e imbeccare i piccoli deve, necessariamente, abbassare la testa per trasferire il cibo dalla sacca alla bocca dei figli. Questo movimento particolare ha fatto nascere la credenza sopra decritta. È raffigurato in molti soggetti a carattere religioso con il significato di resurrezione. Viene fatto il paragone con Cristo che non esita a dare la vita per noi: “vivete nell’amore, prendendo esempio da Cristo, il quale ci ha amati fino a dare la vita per noi, offrendola come un sacrificio che piace a Dio.” (Paolo, Efesini, 5, 2). E i Vangeli: “Nessuno può avere maggiore amore di chi dà la propria vita per i suoi amici” (Giov. 15, 3). 

E altri volatili interessano l’opera di Antonello da Messina dal titolo “San Girolamo nello studio” del 1465 ca. della National Gallery di Londra. Sono gli elementi simbolici più importanti inseriti, dall’artista, nella composizione. In primissimo piano, infatti, vi sono raffigurati, una coturnìce e un pavone, a destra è dipinto un bacile.

Dal latino Coturnix; volgare = Alectoris graeca; genere di uccelli Fasianidi Perdicini che vivono nelle regioni montuose ma anche di pianura di molto Paesi; parzialmente migrante. Ha le penne variamente colorate che vanno dal giallo sabbia al bianco, al nero. Una caratteristica del suo piumaggio è una fascia molto scura che le fa da collana. È raffigurata nella pittura romana dei primi secoli del cristianesimo e nel Rinascimento, con valore simbolico. Viene associata alla pernice e alla quaglia. Nome volgare della Coturnix coturnix, degli Uccelli Fasianidi e Turnicidi, la quaglia è simbolo di resurrezione in riferimento all’episodio biblico in cui il popolo ebraico, durante il viaggio verso la terra promessa, in preda alla fame, venne salvato da Dio che mandò come cibo, il giorno prima della manna, una infinità di quaglie.

Il pavone è un gallinaceo con testa, collo e ventre di colore azzurro, dorso verde dorato e ciuffo di penne filamentose. Caratteristica la coda che si apre a ruota, formata da lunghe penne con una macchia azzurra che sembra un occhio. L’uso dell’immagine del pavone risale all’antica Roma e fu molto presente, successivamente, in senso simbolico, con il cristianesimo fino a tutto il Rinascimento. Il suo significato che esprime i concetti di immortalità e resurrezione deriva probabilmente dall’antica credenza che la sua carne fosse incorruttibile, che non si decomponesse. La figura del Pavone viene così ricondotta all’idea di rigenerazione.

Il bacile contiene l’Acqua benedetta che ci riporta al significato del Sacramento del Battesimo e, quindi all’atto della purificazione, e all’immortalità che, associato al garofano, al bosso e al pavone rafforza questo concetto e rende plausibile il suo uso e la sua importante collocazione nel tema iconografico.

Le ciabatte lasciate ai piedi della scaletta che porta al piano dello scaffale con i libri indica che quel luogo è sacro e non deve essere contaminato; bisogna calpestarlo a piedi nudi. La sacralità del piano della biblioteca è anche sottolineato dalla pianta del bosso che, per la sua caratteristica di pianta sempre verde, simboleggia l’eternità. Anche i garofani del vaso vicino alludono alla Chiesa che è definita “Sponsa Cristi” o è la previsione della Passione di Cristo per il suo colore rosso?

E le ciabatte e gli zoccoli olandesi esprimono lo stesso concetto nel quadro dal titolo “Il ritratto  dei coniugi Arnolfini” raffigurati nella loro camera da letto, luogo simbolo dell’unione coniugale che sancisce il legame matrimoniale completandolo. Il dipinto è opera del pittore fiammingo Jan Van Eyck (1434, Londra, National Gallery), ma altre teorie vengono ultimamente proposte individuando, nella persona maschile rappresentata, lo stesso Van Eyck con la moglie Margareta, ipotesi supportata dal ritrovamento del certificato di battesimo del primogenito della coppia che riporta la data 1434 corrispondente all’anno di stesura dell’opera stessa. Io aggiungo anche che le caratteristiche fisico-somatiche dei due personaggi rispondono più all’appartenenza ai caratteri del nord Europa e non a quelli propri italiani dei toscani di Lucca  della famiglia Arnolfini. Il cane simboleggia la fedeltà, la grande vetrata sottolinea l’apertura dei coniugi alla società e, l’unica candela accesa del candelabro, simboleggia la fiamma dell’amore coniugale.

La grande opera “Gli orrori della guerra” di Pieter Paul Rubens, 1638, Firenze, Galleria Palatina, presenta una composizione affollata e altamente dinamica. A sinistra si vede il Tempio di Giano col portone aperto che sottolinea il tempo di guerra, segue una figura femminile vestita a lutto che fugge col le braccia alzate; è la personificazione di Europa. Davanti si nota un nudo femminile (Afrodite/Venere) con il figlio Eros/Cupido, che cerca di fermare la mano armata di Ares/Marte tirato in avanti da una delle tre Erinni, Aletto una figura di megera dai capelli di serpi che lo incita a continuare l’opera di morte, reggendo una fiaccola, simbolo di disordine e di vendetta. Marte in tenuta da combattimento passa sopra il caducèo di Ermes/Mercurio simbolo di pace, sopra una faretra dalla quale fuoriescono delle frecce, alcuni fogli, tutti simboli di disordine e di distruzione della cultura, così come il liuto rotto sotto il braccio di una donna e una figura travolta che regge in mano un compasso, un architetto, elementi simbolici che esprimono lo stesso concetto.

E questo senso di disastro e di morte simboleggia l’intera opera di Pablo Picasso (1937, Madrid, Museo della Rejna Sofia) dal titolo “Guernica” che, sicuramente, risente dell’opera di Rubens nello sviluppo orizzontale della composizione e nello spirito di tragedia che quella opera trasmette.

Il fatto rappresentato è ambientato nella guerra civile spagnola e riguarda il bombardamento della cittadina basca di Guernica avvenuto il 26 aprile del 1937, in un giorno di mercato, da parte di aerei tedeschi della legione Condor venuti in aiuto delle truppe del generale Franco contro il governo repubblicano; un fatto terroristico d’inaudita violenza. Non si tratta di una rappresentazione realistica dell’evento drammatico, in particolare, ma la denuncia appassionata e sincera della distruzione e della morte che tutti i fatti bellici producono. Perciò non sono riconoscibili personaggi o luoghi della tragedia spagnola ma l’episodio, ambientato in una località virtuale, diventa un forte grido di dolore che si amplia enormemente fino ad assumere un significato universale. Così il cavallo e le donne a destra appaiono come le vittime della bestialità umana simboleggiata dal toro raffigurato nella parte alta a sinistra: il mostruoso Minotauro della mitologia; e la donna che si dispera per il figlio morto che reca sulle ginocchia vuole significare l’impotenza dei deboli contro i soprusi dei più forti; l’uomo a terra, morto, con la spada spezzata a sottolineare la resistenza eroica. E poi la donna che regge il lume, una testimone della tragedia, e la lampada  la storia che prende nota dell’evento efferato, che rischiarerà la memoria dei posteri.

Quest’opera di Picasso di forte impatto emotivo, è da considerare la sintesi dei contenuti drammatici che l’artista spagnolo ha sempre affrontato ed evidenziato già dalle sue prime tele e qui accentuati dai contrasti di bianco e nero e dal suo linguaggio pittorico essenziale di grande dinamicità formale ed intellettuale.

 

Seguono tre opere contemporanee i cui elementi figurati sono considerati i moderni simboli: Marilyn Monroe, Le bottiglie di Coca Cola di Andy Warhol (anni 60 del Novecento), e un particolare di un’automobile dalla lucida carrozzeria, di Don Eddy, del 1971 (Saint-Etienne, Musée d’Art et d’Industrie).

3. Storia del Movimento artistico

E’ lo studio dei caratteri, le origini, l’ambiente, la cultura che hanno determinato la nascita e lo sviluppo di un movimento artistico: Il Cubismo

Il Movimento Cubista ha origine nel primo decennio del Novecento ad opera dello spagnolo Pablo Picasso e del Francese Georges Braque che, partendo dall’opera di Cezanne, uno dei grandi post-impressionisti che aveva riportato la solidità nelle forme basate sui tre solidi geometrici cilindro, cono e sfera, superando così la dinamicità e l’evanescenza impressionistica e la scomposizione dei colori. Ma è l’influenza della scultura africana che gioca un ruolo importantissimo come dimostra l’opera “ Les Demoiselles d’Avignon”, Pablo Picasso, 1907, New York, Museum of Modern Art. La composizione presenta cinque nudi femminili e una natura morta, in primo piano, che rappresenta la versione finale del tema che comprendeva, all’inizio, l’inclusione anche di due figure di marinai. Il titolo, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non fa riferimento alla città francese ma a un bordello di Via Avignone a Barcellona, in Catalogna. Le forme sono frammentate e non emergono dallo sfondo che è frammentato ugualmente con linee spezzate e piani che superano la rappresentazione dell’oggetto tridimensionale, senza un prima e un dopo, in una visione simultanea che crea la quarta dimensione “spazio-tempo”.

Possiamo suddividerne il carattere in alcuni momenti caratteristi: 1. Cubismo analitico in cui le numerose sfaccettature creano un apparato plastico, quasi monocromo, dal 1909 al 1912 (Case in collina a Horta de Ebro, Pablo Picasso, 1909, New York, The Metropolitan Museum of Modern Art; Ritratto di Ambroise Vollard, Pablo Picasso, 1909-1910, Mosca, Museo Puskin); 2. Cubismo sintetico che semplifica l’insieme creando quasi una bidimensionalità dell’oggetto (Natura morta con sedia impagliata, Pablo Picasso, 1912, Parigi, Musée National Picasso), fino all’uso di materiali estranei alla pittura come ritagli di giornali, cartone, tessuto, legno in cui il materiale, oltre ad essere ciò che è, diventa strumento di un nuovo linguaggio, di una nuova estetica (Le“Quotidien”, violino e pipa, Georges Braque, 1912, Parigi, Musée National d’Arte Moderne; La Danza, Pablo Picasso, 1925, Londra, Tate Gallery); 3. Cubismo Orfico, in cui la forma appena riconoscibile viene creata seguendo un andamento della linea e delle forme impostate quasi su ritmi musicali (La Torre, Robert Delaunay, 1910, New York, The Solomon R. Guggenheim Museum).

 

4. Analisi del particolare: Elementi di identificazione

Viene preso in considerazione il dettaglio di un’opera: una figura, un vestito, un oggetto, l’arredamento di un ambiente, un ornamento, ecc., per risalire al significato dell’opera utilizzando quindi il particolare come documento che ci può condurre al risultato finale, cioè al messaggio complessivo che l’artista vuole trasmettere.

L’individuazione di elementi quali attributi dei personaggi rappresentati permette al fruitore di riconoscere, con certezza, i personaggi stessi: Arco, Faretra, Frecce, Cane (Diana cacciatrice, Scuola di Fontainebleau, 1530-1560, Parigi, Museo del Louvre); Clava, Pelle di leone, Mostro a molte teste (Idra) (Ercole e l’Idra, Antonio del Pollaiolo, 1475 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi); Pavoni (Era/Giunone), Aquila e saette (Zeus/Giove), (Origini della Via Lattea, Jacopo Tintoretto, 1575 ca., Londra, National Gallery); Graticola, Dalmatica dei Diaconi (San Lorenzo, martire morto sulla graticola), (San Lorenzo, Francisco de Zurbaràn, 1636, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage); Sassi, Dalmatica dei Diaconi (Santo Stefano protomartire, morto lapidato), (Santo Stefano, Francesco Francia, XV secolo, Roma, Galleria Borghese); Ragazzo con Angelo, Cane, Pesce (Tobia e l’Angelo), (L’Arcangelo Raffaele e Tobiolo (part.), Antonio del Pollaiolo, 1470 ca.
Torino, Galleria Sabauda); Figura maschile con barba, Bastone a Tau (bastone degli eremiti), Campanello (per scacciare gli spiriti maligni), Maiale (miglior lardo per curare il “fuoco di S. Antonio” o “erpes zoster”), (Sant’Antonio Abate), (Sant’Antonio Abate, Francesco Nasini, Montelaterone (Grosseto), Cappella della Misericordia); Bastone del pellegrino o Bordone, Mantella con conchiglia, Cane con un pane in bocca, Ferita o bubbone della peste all’interno della coscia (San Rocco), (San Rocco (part.), dal Polittico di San Rocco, Cesare da Sesto, Milano, Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco); Due ruote con borchie, Corona in testa, Spada (Santa Caterina d’Alessandria), (Decollazione di Santa Caterina, Giovanni da Milano, 1350 ca., Prato, Galleria Comunale); Oca (San Cerbone), (San Cerbone, Domenico Manetti, XVII secolo,
Casteldelpiano (Grosseto), Chiesa della Propositura); Scodella con fagioli, Pane, Cipolline, Brocca (Il mangia fagioli), Annibale Carracci, 1583-1584 ca., Roma, Galleria Colonna)

5.Percorso strutturale: Schemi geometrici e linee-forza

Consiste nell’evidenziare schemi geometrici compositivi che costituiscono il telaio dell’opera e che aiutano a capire il processo di realizzazione dell’insieme dettato dai motivi culturali che hanno guidato l’artista.
La particolare disposizione degli elementi nella composizione, infatti, permette di approfondire la conoscenza della mentalità dell’epoca con la conseguente comprensione dei significati che l’autore vuole comunicare.

Una circonferenza con un esagono regolare inscritto è lo schema geometrico che contiene l’insieme compositivo delle seguenti opere: “Madonna col Bambino, sei Santi, quattro Angeli, il Duca Federico da Montefeltro”, Piero della Francesca, 1472-1474, Milano, Pinacoteca di Brera; “Madonna col Bambino, Angeli e Santi”, Benvenuto di Giovanni, XV secolo, Siena, Basilica di San Domenico. È naturale che gli schemi siano stati realizzati dal pittore precedentemente alla stesura della composizione che è stata adeguata agli spazi disponibili mentre, il mio studio che ha ricavato gli schemi stessi, è, naturalmente, frutto di una approfondita ricerca a posteriori.

Il rettangolo che racchiude la composizione di ogni faccia dello stendardo di tela dipinta nelle due facciate, per essere portato in processione, che contiene le due opere pittoriche seguenti, ha i suoi lati nel rapporto di 2/3, secondo un’antica proporzionalità ripresa nel XV° secolo da Leon Battista Alberti, usata nelle aree architettoniche, poi utilizzata anche nelle altre forme artistiche. È definita “Diapente” (una e mezza), ed è una delle aree corte insieme al Quadrato (1/1) e alla Diatessaron che ha il rapporto dei lati di 3/4. Lo stendardo, ora posto su un telaio ligneo, è opera di Ventura Salimbeni, pittore senese che ha operato fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento: Il Miracolo della Neve; Madonna Incoronata e i santi Sebastiano e Rocco, Ventura Salimbeni, XVII secolo, Arcidosso, Santuario della Madonna Incoronata.

L’opera pittorica che segue è un quadro moderno di uno degli artisti del Neoplasticismo olandese, in origine Gruppo De Stijl, che ebbe una notevole importanza nella nascita e lo sviluppo del Movimento anche per quanto riguarda l’architettura. La composizione geometrica è semplice ed è impostata sulla figura del quadrato e sui rettangoli aurei che inverano un insieme in perfetta armonia. Uno straordinario equilibrio che è dato dalle forme che compongono l’insieme rafforzate dall’interazione delle aree dei particolari colori primari collocati nelle giuste posizioni con la quantità di luce che ognuno contiene: “Omaggio a Piet Mondrian: Composizione con rosso, bianco, blu e giallo”. Anni Trenta del secolo scorso.

Anche l’altro mio studio sull’opera astratta seguente mette in evidenza lo schema geometrico fissato dall’autore per conferire, all’insieme, estrema razionalità che nella disposizione dei quadrati, nel tono cromatico e nella luce, esprime un certo, particolare senso di profondità: “Omaggio al Quadrato, Josef Albers Schema geometrico e opera”. Uno dei numerosi studi dell’artista, sul tema, negli anni Sessanta del secolo scorso.

E le linee-forza? La ricerca di queste serve a dimostrare l’andamento che gli elementi di una composizione assumono ai fini della trasmissione corretta di contenuti. Nel “Compianto sul Cristo morto, Giotto, 1303-1305, Padova, Cappella degli Scrovegni”, evidenziano equilibrio e stabilità sia nella posizione dei personaggi collocati nell’insieme compositivo ma, anche, nel senso di drammaticità del tema, un pathos nobilmente contenuto e superato, tipica espressione prevalente nel linguaggio giottesco. Nell’opera “Parabola dei ciechi”, Pieter Bruegel il Vecchio, 1568, Napoli, Museo di Capodimonte, l’effetto di caduta dei ciechi che si affidano ad un non vedente che lo precede, è ottenuto, magistralmente dall’artista, con due linee parallele oblique rispetto alla base della composizione realizzando, pienamente, lo spirito della parabola.

6. Lo spazio e la tridimensionalità

La rappresentazione dello spazio e quindi la determinazione della tridimensionalità con tutte le implicazioni proprie della visione prospettica nei suoi concetti di vicino-lontano, grande-piccolo, alto-basso e del volume delle forme, è senz’altro un argomento di grande rilevanza nella creazione artistica e nei problemi della visione e della rappresentazione.
Fin dall’antichità, infatti, l’uomo ha cercato di risolvere i problemi spaziali e ha tentato di fissare la tridimensionalità degli oggetti su una superficie piana, a due dimensioni, servendosi prima della pura intuizione propria della cultura del suo tempo e poi stabilendo regole che gli hanno permesso di realizzare rappresentazioni prospettiche assai vicine alla visione reale ma che, vedremo, essere sempre l’applicazione importante di convenzioni e non la realtà “vera”.

Nell’antico Egitto l’obiettivo di una prospettiva unitaria, intesa nel senso rinascimentale, non fu mai conseguito anche perché diverse erano le esigenze rappresentative nell’arte di questo popolo. La descrizione grafica di una figura con il capo, le gambe e i piedi di profilo, il busto disposto frontalmente, realizza, in maniera frammentaria, un insieme che, unito alla visione ribaltata delle cose, mostra ancora quanto lontana sia quella unitarietà che vedremo compiuta soltanto molti secoli dopo. Nel mondo egiziano, infatti, lo scaglionamento orizzontale e verticale è stato uno dei metodi che permetteva di collocare graficamente nello spazio gli oggetti che apparivano rappresentati sempre planimetricamente.

Un esempio di tale sistema di rappresentazione ci viene fornito dal disegno a penna e inchiostro di china eseguito da Donatello che riproduce una pittura a stucco della tomba di Rehmire a Tebe (1435 a.C. ca) dal titolo “Giardino egiziano con vasca”. La raffigurazione esemplificata è data per scaglionamento verticale e orizzontale degli elementi che la compongono, sistema chiamato anche ribaltamento, rovesciamento o appiattimento, uno degli aspetti della deformazione. Osservando attentamente il disegno notiamo che gli alberi del perimetro sono disposti intorno al rettangolo e mantengono la perpendicolarità soltanto quelli così collocati rispetto alla linea di base che è costituita dal terreno sul quale poggiano, mentre tutto l’insieme è visto dall’alto.

Lo stesso sistema è usato da Marco nel disegno dal titolo “Partita di Calcetto”.

Un altro sistema spaziale basato sulla deformazione è quello chiamato dell’obliquità parallela che consiste nell’ottenere la tridimensionalità tracciando linee parallele con altre oblique rispetto alle prime: “Morte del Cavaliere di Celano”, Giotto, 1296-1300, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco; “Tavolo”, Roberta.

Anche i gradienti di altezza fanno parte dei sistemi di rappresentazione spaziale spontanei. Questo modo consiste nel disegnare oggetti tutti della stessa dimensione ma collocati ad altezze diverse rispetto alla linea di base del disegno; così gli oggetti posti più in basso, vicino al margine inferiore, si percepiscono più vicini e quelli posti più in alto, più lontani: “Pastorale”, Placido Scandurra; “Paesaggio con casette e alberi”, Francesca. Sono tutti modi per dare, graficamente, l’effetto prospettico, usati dagli antichi, dai primitivi, dai bambini di circa sette anni di età e di tutte le persone che non sanno disegnare.

Soltanto nel Rinascimento, come già detto, a Firenze con Filippo Brunelleschi, architetto e scultore fiorentino che stabilisce l’unitarietà del punto di vista e ne dà una dimostrazione pratica nella realizzazione di due disegni su tavola, andati perduti, rappresentanti rispettivamente la Piazza della Signoria e il Battistero di San Giovanni; successivamente, con Leon Battista Alberti (De Pictura, 1435-36), trattato nel quale descrive il velo, la cosiddetta graticola, la prima “macchina” da lui inventata per poter trasportare sulla carta un oggetto disegnandolo in prospettiva) e, ancora, con Piero della Francesca (De Prospectiva Pingendi, 1474), furono formulate le regole per una rappresentazione prospettica abbastanza vicina al modo di vedere la realtà e che ancora, a distanza di diversi secoli, viene adoperata e considerata di grande e assoluta validità. Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio, Piero della Francesca e molti altri, nel Quattrocento, formuleranno una teoria che permette ancora oggi, nella sua naturale evoluzione, di rappresentare la tridimensionalità servendosi di un metodo impostato su un fatto geometrico. Ed è di un valore di geometria che lo spazio brunelleschiano si serve per raffigurare la realtà che rimane sempre l’applicazione di una regola, di una convenzione che permette di ricostruire un “vero inventato”, per i motivi che ora vedremo. La prospettiva rinascimentale o prospettiva lineare, basata su presupposti scientifici, pur dando un’immagine molto vicina alla realtà, non è però un fatto ottico ma, come abbiamo detto, geometrico, per due importanti ragioni: 1) è data da una visione monoculare, cioè con un solo punto di vista corrispondente ad un solo occhio mentre la visione ottica è legata alla formazione dell’immagine sulla retina nei due occhi (visione binoculare); due immagini separate che in sintesi il cervello ha provveduto a ricomporre riunificandole; 2) l’immagine prospettica si forma sul Quadro che è una superficie geometrica piana, diversa dalla retina del nostro occhio, a superficie concava. La prospettiva italiana si distingue per il suo rigore geometrico che invera una prospettiva unitaria (unico punto di vista, una sola linea d’orizzonte e punti di fuga o di concorso posti tutti su questa): “Flagellazione di Cristo”, Piero della Francesca, 1444, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche; San Sebastiano, Antonello da Messina, 1476, Dresda, Staatliche Gemäldegalerie.

Nella pittura fiamminga, invece, troviamo una prospettiva frammentaria, più linee d’orizzonte, punti di fuga o di concorso diversamente collocati su ognuna di queste ma, nonostante questi caratteri, la pittura fiamminga ha tanti valori importanti come la ricerca del dettaglio, dell’ornamento, del colore smaltato che conferiscono all’opera una straordinaria suggestione: Santa Barbara, Robert Campin (Maestro di Flemalle), 1438, Madrid, Museo del Prado. Caratteri spaziali simili ritroviamo, nella prima parte del secolo XX°, nella pittura Metafisica: La Torre Rossa, Giorgio de Chirico, 1913, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

7.Aspetto psicologico-cognitivo

Il rapporto figura-sfondo, le figure ambivalenti, le figure impossibili e le composizioni geometriche dalla forte e vivace cromaticità, offrono, al fruitore, motivazioni creative e possibilità di approfondimento della conoscenza delle forme basate anche su presupposti psicologici.

Ed eccoci, per chiudere, a fare un cenno sulla percezione visiva. In che cosa consiste l’atto percettivo? Percepire significa rendersi conto del perché delle cose, vuol dire analizzare una immagine e dare un giudizio razionale, certo, anche e, specialmente, quando l’immagine è prodotta soprattutto per ingannare il nostro occhio. Questo avviene nell’osservazione delle immagini ambivalenti (rapporto figura-sfondo): Una coppa o due volti di profilo?; Una fiamma o due mani? Rubin; Ritratto di uomo o nudi femminili?; L’anatra e il coniglio, Joseph Jastrow, 1900; Mia moglie e mia suocera in “Puck”, W. E. Hill, 1915; “Napoleone lo sterminatore”, Incisione tedesca, 1815.

Ma anche l’ambivalenza e le figure impossibili di Mauritis Cornelis Esher rientrano, in parte, in questo interessante e singolare “gioco matematico”, così come l’astrattismo cromatico di un pittore ungherese: Maamor II, Victor Vasarely, 1969, Budapest, Vasarely Museum; Kel-Tuz, Victor Vasarely,1973.
          

Un suggerimento. Prego di leggere la frase che conclude queste pagine:

“Definire l’arte è arduo
quasi quanto definire l’essere umano.”
 
H. W. Janson, Storia dell’Arte

1 commento su “Accademia Zanclea inaugura la Teca Antologica: Commenda e sinossi della Lectio tenuta da G. Corallo- introduce Claudio Stazzone

  • Ringrazio di cuore l’Accademia Culturale Zanclea, nei suoi componenti il Direttivo e, particolarmente, nel suo Presidente Prof. Claudio Stazzone e nella Prof.ssa Agata Midiri, per l’accoglienza riservatami nei giorni del mio soggiorno a Messina in occasione della presentazione della mia relazione dal titolo “Come si legge in quadro” e per l’onorificenza assegnatami per il mio impegno nel campo della cultura artistica. E’ stato un grande onore per me che cercherò di meritare impegnandomi con la stessa passione ancora nelle mie ricerche. Grazie. Giombattista Corallo.

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