Lo straordinario miracoloso potere di un’erba – Dalla letteratura all’arte figurativa, le qualità “terapeutiche” della Mandràgora- di Gionbattista Corallo


Voi avete a intendere questo, che non è cosa a ingravidare una donna che darli bere una pozione fatta di mandragola. Questa è una cosa esperimentata da me dua paia di volte e trovata sempre vera; e se non era questo, la reina di Francia sarebbe sterile, e infinite altre principesse di quello Stato”. (Niccolò Machiavelli, La Mandragola, Atto Secondo, Scena Sesta).

Con queste parole Callimaco, giovane innamorato di Lucrezia, progetta l’inganno nei confronti di Messer Nicia, marito della donna, servendosi di una pozione che, a suo dire, l’avrebbe miracolosamente resa gravida, con la complicità, innocente e non, di altre persone da lui coinvolte nella storia e dello stesso, accondiscendente, ingenuo, marito.

Ma, al di là della singolare vicenda raccontata dal Machiavelli che portò il furbo e aitante giovanotto a “giacere” con la bella e giovane donna che diventò “femmina” facendo “becco” l’anziano e credulone marito, come egli stesso aveva timorosamente presagito, le qualità terapeutiche di questa pianta erano considerate straordinarie. Si riteneva, infatti, che la Mandràgora avesse proprietà afrodisiache; se ne trova notizia già nella Bibbia: “Or al tempo della mietitura del grano, essendo Ruben andato alla campagna trovò delle mandragole, e le portò a Lia sua madre. E Rachele disse a Lia: <<Via, dammi della mandragole del tuo figlio>>. E Lia rispose: <<Ti par poco avermi tolto il marito, che vuoi togliermi anche le mandragole del mio figlio?>>…E Giacobbe dormì con lei in quella notte. Il Signore poi ascoltò le preghiere di lei, che concepì e partorì il quinto figliolo…”, (Genesi XXX, 14-17). E che fosse anche un forte ed efficace anestetico ci viene descritto da Ippocrate, grande medico dell’antichità, vissuto tra il 460 e il 377 a.C., che con la “spongia soporifera”, una spugna impregnata di oppio, Mandràgora e cicuta riusciva a dare il sonno ai malati. Anche Dioscoride, un medico del I secolo d.C., descrivendo gli effetti della Mandràgora usa, per la prima volta, il termine “anestesia” che si affermerà poi a partire dal 1847 con l’uso del cloroformio.

Le leggende nate intorno a questa pianta, soprattutto in certi periodi storici, sono tante e molto colorite. Si dice che abbia avuto origine dallo sperma di un impiccato; che la pianta deve essere colta nelle caverne o nei cimiteri alla mezzanotte del venerdì.

Teofrasto, filosofo greco vissuto tra il 312 e il 287 a.C., suggeriva, per evitare gli effetti dannosi e i pericoli derivanti dal contatto con la pianta durante la raccolta delle radici, di tracciare con la spada tre giri intorno alla pianta stessa, di scavare per estirparla tenendo il viso rivolto verso ponente e facendo danzare e cantare particolari laudi ad un accompagnatore.

Lo storico Flavio Giuseppe (37-100 d.C), racconta che per sradicare la radice bisogna prima irrorare la pianta di urina o di sangue mestruale e poi, dopo aver vangato intorno, si può procedere allo strappo finale legando un cane con una corda che va dalla pianta al collare dell’animale. Il cane, chiamato dal padrone, iniziando a correre, estirpa la radice. Questo accorgimento deve essere usato per il semplice motivo che l’operazione può portare alla morte di chi opera lo strappo; così facendo, il cane è la vittima della Mandràgora che, con il sacrificio dell’animale, perde il potere letale e mantiene quello di scacciare, dai corpi degli uomini, tutte le negatività.

Abbiamo visto, quindi, che l’ingenuità, l’ignoranza e la superstizione, come la storia e l’esperienza insegnano, hanno sempre avuto un ruolo importante e spesso determinante nello sviluppo di certe credenze fin dall’antichità. Sono molte le storie legate alle proprietà di alcune erbe che avevano il potere di far guarire dalle malattie più disparate e strane ma anche riferite ad animali misteriosi che contribuivano a risanare individui colpiti da patologie che la medicina corrente non riusciva a guarire. Alcune di queste persistono ancora oggi, all’inizio del XXI secolo, in piena epoca del computer e dei viaggi nello spazio, in cui si offrono, in vendita, a prezzi variabili in base alle dimensioni e ad altri parametri, preparati magici di radici di Mandràgora unite a particolari quanto ridicole preghiere, e fantasiosi amuleti che hanno il potere di far avverare desideri, realizzare progetti e guarire malanni ma che fanno arricchire innumerevoli sedicenti maghi e veri ciarlatani. Così, per esempio, si pensava che l’Unicorno, mitica bestia feroce, poteva essere catturato soltanto con l’aiuto di una giovane vergine di nobili origini e che, bevendo acqua e vino dal suo corno, l’individuo si proteggeva dalle malattie del fuoco, dagli incidenti, dai veleni. Era, inoltre, un rimedio sicuro contro l’epilessia, i vermi, le piaghe, l’impotenza.

Ma ritorniamo alla Mandràgora o Mandràgola, come generalmente si chiama.

E’ il nome italiano della pianta Mandràgora microcarpa delle Solanacee, una pianta mediterranea dei luoghi umidi che cresce nei terreni ricchi di sostanze organiche. Ha grandi foglie a rosetta, fiori a campana di colore bianco o viola, frutti a bacca. Ma sono le radici la parte morfologicamente più interessante e curiosa della pianta. Sono grosse e rizomatose e hanno una conformazione che la fantasia popolare, dai tempi antichi, ha avvicinato alla forma umana sia maschile che femminile. La presenza in essa di mandragorina, una miscela di alcaloidi simili all’atropina, la connota come pianta velenosa. Se ne conoscono alcune specie: Mandràgora officinarum, con fiori bianco-violacei; Mandragora autumnalis, con fiori violetti; Mandràgora vernalis, con fiori bianco-verdognoli.

Nel territorio amiatino non è presente ma possiamo vederne un esempio raffigurato in una delle tante terracotte invetriate della bottega dei della Robbia che ornano l’interno della Pieve, la chiesa romanica dedicata alle sante Flora e Lucilla, risalente al 1142, situata nel centro storico di Santa Fiora.

L’opera si trova collocata nella parete della navata laterale destra ma, sicuramente, nel passato, doveva avere un’altra sistemazione. E’ formata da tre scomparti, determinati da quattro lesene composite, all’interno dei quali vi sono rappresentate tre scene a carattere sacro, tre temi iconografici tra i più rappresentati della storia dell’arte religiosa. Al centro la Vergine in ginocchio e con le mani giunte viene incoronata da Cristo, anch’Egli inginocchiato, mentre una schiera di dieci angeli, dei quali cinque musicanti, fanno loro corona. Il soggetto segue i due momenti precedenti che sono la Morte e l’Assunzione della Vergine e fu usato, in origine, nei rilievi della cattedrali gotiche nel XIII secolo, sviluppandosi poi nei secoli successivi. E’ riconoscibile la mano di Andrea della Robbia nella dolcezza dei volti dei personaggi, nella delicatezza del modellato e nei colori bianco e celeste che ne contraddistinguono le caratteristiche più evidenti.

A sinistra, San Francesco d’Assisi, in ginocchio, riceve le stimmate da un angelo, come raccontato da Tommaso da Celano, sotto le sembianze di un giovane simile ad un serafino con sei ali, le braccia aperte e i piedi uniti, con il corpo, cioè, che aveva una forma simile alla croce. Secondo San Bonaventura, invece, a Francesco apparve Gesù Crocifisso, ed è in questo modo che si svilupperà successivamente il tema. In un angolo, un altro frate assiste all’evento, semisdraiato a terra, si copre gli occhi con la mano sinistra portata sul volto. Nello sfondo un paesaggio con le colline marrone, una bianca chiesetta e cinque alberelli a punta si stagliano nettamente nel cielo azzurro nel quale sono visibili alcuni cirri. E’, verosimilmente, il paesaggio della Verna dove il Santo, in preghiera durante un ritiro, ebbe la visione e ricevette i segni inconfondibili alle mani e ai piedi. In questo riquadro la parte maggiore del lavoro è da assegnare agli aiuti mentre l’intervento di Andrea può essere visibile nella figura di Francesco.

La formella a destra presenta il tema di San Girolamo penitente, la cui figura è certamente di mano di Andrea mentre la parte restante della formella è opera della Bottega. La scena è ambientata in un paesaggio desertico sottolineato da pochi alberi in lontananza che sorgono da rocce di colore marrone. Il Santo è inginocchiato davanti al Crocifisso, così come l’iconografia tradizionale vuole; regge in mano il sasso che usa per battersi il petto. Vicino a lui è visibile il leone che, secondo un racconto popolare, Girolamo aveva curato estraendogli una spina dalla zampa e che, per riconoscenza gli era diventato amico. Vi è rappresentato anche un piccolo serpente che alza la testa e parte del corpo, vicino ad una pozzetta d’acqua, e uno scorpione. Ed ecco che, lateralmente, compare la nostra Pianta della quale abbiamo già raccontato le proprietà “curative”. Ma perché l’autore l’ha voluta raffigurare nell’opera?

Il serpente, nell’iconografia cristiana, è simbolo del maligno, sinonimo di Satana. Può assumere anche la forma di drago perché il termine draco, in latino, ha il doppio significato di serpente e di drago. Il Diavolo, sotto le sembianze del serpente, compare nei temi del Peccato Originale quasi sempre avvolto nel tronco di un albero dell’Eden ma anche in altri temi tra i quali quello dell’Immacolata Concezione mentre viene schiacciato dalla Vergine che gli calpesta il capo con il piede: “Il grande drago, cioè il serpente antico, che si chiama Diavolo e Satana, ed è il seduttore del mondo, fu gettato sulla terra, e anche i suoi angeli furono gettati giù”, (Apocalisse, 12, 7-9). Lo scorpione, per il suo morso che spesso è letale, è considerato il simbolo di Giuda.

Possiamo, quindi, dedurre che la presenza della pianta di Mandràgora nella composizione abbia, secondo l’autore che riporta sicuramente le credenze popolari ricorrenti all’epoca, la prerogativa di antidoto (spirituale) al veleno del serpente (il Demonio); il trionfo del Bene sul Male?

Così può essere spiegato, nel caso specifico, l’uso simbolico della pianta nell’opera attribuita ad Andrea della Robbia, realizzata intorno al 1465. Nella predella sono ricavati, inoltre, tre scomparti con le scene dell’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi, mentre elementi decorativi di ricordo classico, come ovoli, fuseruola e un fregio con festoni di foglie, frutta e fiori, di sicuro valore simbolico, completano il grande trittico, uno dei tanti capolavori prodotti dalla Bottega fiorentina che ha avuto in Luca, capostipite, e nel nipote Andrea le personalità più importanti ma che ha visto decadere a livello di mero artigianato la qualità delle opere, contraddistinte ormai da una approssimativa definizione delle forme, da un modellato grossolano e da un uso spregiudicato del colore, con Giovanni, figlio di Andrea e con Benedetto e Santi Buglioni.

 




 
Mandràgora
(Mandragora autumnalis)

Nell’ immagine  in evidenza 

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Trittico rappresentante San Francesco che riceve le stimmate, Incoronazione della Vergine, San Girolamo penitente,

Annunciazione, Natività, Adorazione di Magi,

Santa Fiora, Chiesa delle sante Flora e Lucilla

1 commento su “Lo straordinario miracoloso potere di un’erba – Dalla letteratura all’arte figurativa, le qualità “terapeutiche” della Mandràgora- di Gionbattista Corallo

  • Il prof. Corallo, in questo suo pregevole articolo, rappresenta oggettivamente il legame che sussiste tra letteratura e arte figurativa mediante un excursus culturale ricco di riferimenti storici, filosofici, biblici, leggendari e scientifici.
    Complimenti per la puntuale ed esaustiva argomentazione.

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