“La geometria in Chiesa” Nella premessa, omaggio a C. Stazzone “Nel ricordo di un amico” – di Giombattista Corallo

“Nel ricordo di un amico”

Riprendendo la collaborazione con l’Accademia con un mio articolo dal titolo La geometria in chiesa”, dopo la pausa dovuta alla scomparsa del carissimo Presidente Professor Claudio Stazzone, mi corre l’obbligo di ricordare, brevemente e con grande piacere, questa eccezionale Figura di professionista e di amico.

Sono stato insieme a lui soltanto alcuni giorni in occasione della mia venuta a Messina per la conferenza sul tema “Come si legge un quadro” ma sufficienti per rendermi conto della grande Personalità e di quello che rappresentava per l’ambiente, il Preside Stazzone, uomo d’immensa cultura e di doti di non comune umanità. Nonostante i suoi problemi di salute e le immancabili sofferenze a questi legate, non ha mai smesso di pensare al futuro, a quelle iniziative che l’Accademia Culturale Zanclea avrebbe dovuto continuare ad assumere e a svolgere il suo prezioso ruolo di guida per il “gruppo” che, con abnegazione, si è dedicato e continua a dedicare il suo costante impegno ai lavori di questo insostituibile “Istituto” di cultura.

Certamente l’Accademia, la città di Messina e la Cultura tutta sono rimaste orfane di un’importante Figura di riferimento ma sono sicurissimo che i componenti il Direttivo: il neo-Presidente Maestro Biagio Cardia, la Professoressa Agata Midiri e tutti gli altri, sapranno continuare, nella maniera migliore e con la stessa passione, il compito che in questi anni l’Accademia Culturale Zanclea ha meritatamente, e con straordinario successo, svolto.

                                                                                                  Giombattista Corallo

La geometria in chiesa

Gli schemi compositivi in una croce del Trecento senese

di Giombattista Corallo

Vi sembra strano? E’, forse, come mischiare il Diavolo e l’Acqua Santa? La pura razionalità della geometria, la lucida visione di un mondo ideale in cui ogni cosa, ogni parte di un insieme è sistemata al proprio posto, in contrapposizione all’emotività dettata dalla fede che accetta o rifiuta senza mezzi termini? Eppure l’arte si è servita per secoli della geometria per esprimere, visualizzandoli, i concetti di purezza e di armonia che solo nell’Assoluto si possono riscontrare. Questo giustifica l’uso di certe figure come il quadrato, il cerchio, il triangolo equilatero, che nella loro schiettezza formale, semplicemente ma con molta efficacia, inverano l’idea dell’ordine e della perfezione. Sicuramente i due aspetti possono, come è stato dimostrato, convivere.

Già gli Egiziani nelle piramidi avevano posto le basi per rappresentare l’universo in maniera razionale realizzando, nel rapporto proporzionale delle parti dell’insieme, i presupposti per una rappresentazione dell’universo lontana da ogni piccola improvvisazione e anche i Greci, nelle loro creazioni artistiche, hanno usato strutture geometriche che hanno dimostrato come nulla poteva essere inventato ma che tutto, nella progettazione, dovesse seguire un ordine preciso che era alla base della loro cultura, della loro particolare concezione del mondo.

E, via via, andando avanti nel Medioevo e nel Rinascimento. Così, anche in quel periodo della Storia Occidentale, dall’anno 1000 a tutto il XIV secolo, che a torto, per un certo tempo, è stato definito un momento buio della nostra cultura e poi, fortunatamente, e a ragione, giustamente rivalutato.

Qualcuno può obiettare: “Ma che cosa c’entra tutto questo con la geometria e con la chiesa?”. C’entra e come! Perché è di un’opera medioevale che si trova conservata in una chiesa del nostro territorio, ai piedi del Monte Amiata, che vi voglio parlare. Si tratta della grande Croce dipinta conservata nella piccola chiesa del Santissimo Crocifisso di Roccalbegna, ora adibito a museo; una delle opere più interessanti di tutto il Comprensorio Amiatino.

Il Crocifisso è posto all’interno di una edicola sull’altare della piccola chiesa, costruita, secondo la tradizione locale, appositamente per custodire quest’opera. Attribuito a Luca di Tommè, artista senese, è un esempio significativo di questo soggetto artistico tanto caro alla pittura dell’epoca che ricalca lo schema standardizzato del tema, molto usato dagli artisti medioevali, le cui testimonianze sono riscontrabili in diverse opere conservate in molte chiese e musei italiani. Una tipologia, questa, che ha origine nell’Italia centrale, in Toscana, e, in particolare, a Lucca: la croce dipinta sospesa nell’arco trionfale delle chiese o sistemata sopra l’iconostasi.

La prima risale al 1138, ed è quella firmata da Maestro Guglielmo conservata nel Duomo di Sarzana e rappresentante la figura di Cristo, disposta frontalmente e ancora in vita: è il “Cristus Triunphans”, il Cristo che trionfa sulla morte. Un modello che trova, in due croci scolpite, nel nostro territorio, due meravigliosi esempi: uno è custodito all’interno dell’Abbazia di Sant’Antimo e l’altro nell’Abbazia di San Salvatore ad Abbadia.

Dal XIII secolo viene poi proposto un altro tipo iconografico che raffigura Cristo morto con il capo reclinato sulla spalla, in una espressione di sofferenza: è il “Cristus Patiens” a cui si ricollega, per certi aspetti, la croce di Roccalbegna, molto vicina agli schemi delle croci di pinte da Giotto collocate in diverse città dell’Italia centrosettentrionale. Il primo esempio di questo tipo è considerata la Croce dipinta dal cosiddetto Maestro della Croce n. 20, opera che si trova conservata nel Museo Nazionale di San Matteo di Pisa. Sono molte le opere su questo tema, realizzate da Cimabue tra le quali ricordiamo quella di San Domenico di Arezzo eseguita tra il 1260 e il 1270 e quella della Cappella dei Pazzi a Firenze, rimasta molto danneggiata nell’alluvione del 1966.

I terminali dei bracci orizzontali recano la raffigurazione della Vergine a sinistra e di San Giovanni Evangelista a destra, due personaggi testimoni della Passione e Morte di Cristo.

Forse dipinto in un periodo anteriore al 1366, dimostra i caratteri tipici della pittura senese e cioè: la nitidezza del disegno ma anche una certa plasticità delle forme, alquanto secche, costruite con colori lividi, memori di certi modi pittorici di Pietro Lorenzetti. E veniamo alla geometria.

Dalla mia analisi risulta che la costruzione dello schema compositivo ha origine dal segmento AB che corrisponde alla misura di un Braccio fiorentino (cm 58,36) sul quale viene costruito un triangolo equilatero che, con il prolungamento di lue lati, da luogo ad un secondo triangolo simile più grande che si chiude nell’asse centrale dell’elemento trasversale della croce, ai limiti delle estremità delle mani di Cristo. La determinazione del terzo lato di questo triangolo avviene tracciando un arco con raggio DE fino ad incontrare le due circonferenze alle estremità del braccio trasversale della croce; unendo questi due punti si trova l’asse centrale del braccio stesso. 

L’altezza totale della tavola si realizza riportando cinque volte AB, misura che complessivamente corrisponde all’Antica Pertica toscana (cm 291,8). La lunghezza del braccio orizzontale è invece uguale a quattro volte la stessa misura iniziale AB.

Il gioco delle circonferenze dello stesso raggio, da me tracciate, ne danno una chiara dimostrazione. Lo zoccolo ligneo che doveva, presumibilmente, costituire la base della croce, in corrispondenza del triangolo piccolo iniziale, è mancante.

E quest’opera non è l’eccezione ma la regola. Rappresenta la normale procedura nella determinazione di rapporti e di configurazioni all’interno di spazi operativi, in alcuni momenti storici; il frutto di una precisa mentalità figurativa prodotta dai tempi.

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